E siamo al terzo miracolo.
Quello della
risurrezione di Lazzaro.


Per affrontare il terzo argomento, Spinoza, consapevole che una semplice dichiarazione di morte apparente rischia di essere prevedibile e banale, preferisce rifarsi, statisticamente, a casi storici accertati. Sui quali non può sorgere alcun dubbio, vista l’assoluta mancanza, da parte dei relatori presi a campione, di un interesse particolare a favore di una tesi o dell’altra.
Qui, per motivi di brevità, riporteremo solo alcuni casi presi in esame da Lutor Spinoza.

Il primo episodio risale a Esculapio
(tanto dovevamo a Spinoza nel ricordarlo, tanto dovevamo a Esculapio nel descriverlo)
Pare che per tentare la cura di questa malattia Esculapio non pretendesse neppure il gallo che la prassi gli conferiva.
Si trattava di un magistrato
(certo Agatone di Sparta)
che nel 411 A. C. assunse la più alta carica che Atene conferiva ai suoi cittadini: quella di membro nel Consiglio degli undici.
Agatone,
dice Esculapio,
descrive sintomi improvvisi di collasso con perdita di coscienza.
Col tempo, i segni si fanno più ravvicinati, mentre le perdite di coscienza durano più a lungo.
Esculapio procede dapprima con salassi, poi con infuso di corteccia di silicio, anche se deve ammettere che Agatone non ha febbre.
Anzi, nei momenti che precedono l’attacco
(non di origine convulsiva)
la fronte di Agatone si fa fredda e il polso, da frequente che era, diventa inavvertibile.
L’ultimo attacco è il più drammatico.
A cinque ore dal collasso Agatone non dà segni di vita.
Esculapio interviene con massaggi energici alle quattro estremità.
Sali d’ammonio
(che stimolano il sistema nervoso).
Infine ordina che venga preparata una vasca d’acqua calda
(perché crede, Esculapio, che l’acqua calda rinvigorisca il circolo).
Niente da fare.
Al termine della decima ora,
Esculapio accerta
la morte fisica di Agatone...

Seguono tre giorni di preparativi per i funerali pubblici.

Il corpo di Agatone viene lavato e vestito
con toga bianca e frange di drappi dorati
(l’abito d’onore della magistratura).
Il suo volto resta contratto e marmoreo.
Le braccia, ancora rigide per lo spasimo del trapasso.

Al cadere del terzo giorno il corpo di Agatone viene esposto sull’Acropoli.
Centinaia di fiaccole, circondate fino a valle da bracieri, e dieci vestali del tempio di Minerva gli faranno veglia.
La mattina del quarto giorno, quando le fiaccole sono ormai spente e le vestali si accingono a rientrare nel tempio,
Agatone apre gli occhi,
li spalanca, e, anzi, giura Esculapio, sostiene di aver fame.

Il secondo episodio

lo ricaviamo dalla cronaca napoletana del 1470.
Siamo nella Napoli spagnola.
Nei fasti di una Napoli colta e raffinata.
Isabella di Castiglia
(detta la Cattolica)
ha da poco sposato Ferdinando d’Aragona:
inizia per lei il calvario alla riconquista del trono.
In quei giorni, il medico di corte riceve notizie allarmate che due cuochi della riserva, durante il riposo notturno, hanno manifestato dolori epigastrici intensi seguiti, ripetutamente, da conati di vomito nero.
Si pensa alla peste
e si cerca di circoscrivere l’accaduto.
In realtà, come scriverà nel 1490 il medico spagnolo Hernando Cordoba y Francisco del Castillo, nel suo “De medicina mediterranea”
(conservato all’archivio di Stato di Napoli e a quello di Madrid),
si trattava, probabilmente, di un’assunzione smodata di cantaride che, com’è noto, erode la parete dello stomaco e provoca conseguenti emorragie.
O piuttosto, come sostiene lo storico della medicina Parisio nel suo “La medicina da Galeno al ‘500 - saggio critico sulle diagnosi del passato
(Edizioni Universitarie Associate, Napoli 1949)
della rottura di varici esofagee, causate da ipertensione portale, note soprattutto agli etilisti.
Sta di fatto che il giorno seguente il medico di corte ispeziona i cadaveri dei due cuochi, senza riscontrare i segni della peste.
In via cautelare, comunque, ordina di bruciare abiti e suppellettili dei defunti.
E ordina che anche i defunti seguano lo stesso destino.
Ma, al secondo giorno, i cuochi, già riposti nella legnaia, si rialzano quasi contemporaneamente e
contemporaneamente chiedono aiuto.














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