CAPITOLO SESTO




Negli archivi di polizia l’inquisitore annotò il suo profondo sconforto per la scomparsa prematura del dottore. Certe lacrime gli caddero su carta fotosensibile, duplicando minuscole lacrimucce che evaporarono in fragili bollicine d’aria. Chimica. Poi si concentrò sulla relazione ufficiale. Sulle prime scrisse che il dottore era morto in circostanze sconosciute. Tanto da far temere un omicidio. O un perfetto suicidio. E in questo caso era necessario trovare valide giustificazioni, visto che neppure il dottore s’era premurato di lasciare uno scritto. Accade, scrisse l’inquisitore, che un semianalfabeta si tolga la vita riempiendo pagine di perdono (anche se i semianalfabeti si suicidano di rado, specificò l’ inquisitore). Sono pagine pietose, o degne di pietà, fitte di raccomandazioni e di addii. E accade, scrisse l’inquisitore, che quando la cultura aumenta le lettere si facciano più scarne e essenziali (una parabola sotto forma di punto interrogativo, dritta al cuore di chi legge. Una raccomandazione. Un muto sarcasmo fatto di allusioni brevi e precise). Cosicché, il suicidio di un uomo di cultura diviene pur sempre il suicidio di un uomo di cultura. Freddo, magari. E razionale, sotto certi aspetti. Un suicidio che tiene conto della ricchezza più che del denaro. Della vergogna più che dell’onore. Che non ripara ma cancella. Immediato o indolore al massimo grado. Un suicidio per il quale si chiede di non fare commenti. Perché l’uomo di cultura sa che si faranno commenti. E premuroso com’è, teme che qualcuno ne possa soffrire.

You need Beatnik in order to hear this page.

© Manuela Corti 1998













PASSAGES Home