1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | |
8 | 9 | 10 | 11 | 12 | 13 | 14 | 15 |
16 | 17 | 18 | 19 | 20 | 21 | 22 | 23 |
Del romanzo , presentato in Italia da filosofi, critici letterari e semiologi, è in corso una traduzione integrale in lingua inglese e spagnola
In questo romanzo/racconto nero/filosofico, tutto il tessuto narrativo tende, a mio parere, a lacerarsi, sciogliersi, sgommarsi e tuttavia la sostanza riflessiva distende al fondo un supporto filamentoso bene articolato che consente il moto ma non concede, non ammette linterna, definitiva lacerazione. Questo movimento ondivago, da nave irretita in un mare in tempesta, può capitare che produca allinizio un sentimento di spaesamento, immersi come si è - come ci si sente - fra tensioni così contrapposte. Ma procedendo, larticolazione sempre più compatta - ripeto - e anche ladattamento del lettore a questo, solo apparente, spaesamento, consentono di collocarci nella giusta linea di intendimento e di appagamento, anche. Perché è certo che il testo non delude; non ci disarma affatto. Ma come si articolano i due piani narrativi in apparenza divergenti, contrapposti? Posso rispondere per me: su un enunciato riflessivo fortemente aggressivo e ben collocato dentro le problematiche di fondo del nostro tempo; e su un racconto vero e proprio, un poliziesco apparentemente di vecchia scuola ma illustrato accompagnato e infine risolto con labbrivio di una ironia scaltramente perseguita e alimentata. Insomma, da una parte i proclami del Pontefice Rosso di Climax alla Nazione - che sopravvengono a inserirsi senza cautela, anzi con prepotenza, nella trama del giallo; e dallaltra, i personaggi di questa vicenda precipitevolmente condita di un nero allucinante e costellata di episodi anche minimi, marginali. E, il tutto, dentro a una unità di tempo e dazione: un treno in movimento - e poi fermato e poi di nuovo avviato - e tre quattro giornate di una stagione qualsiasi, ma non ventosa e senza neve. Non cè nulla di burbero né di eccedente dentro a queste pagine; ma una secchezza utilissima che non si sottrae, comunque, a concedersi precise delucidazioni di scrittura. Il corridoio (del treno) era buio. Più scuro di quando era entrata. Un buio annacquato, tendente al pallido. Ma tetro. E freddo, nonostante laria già primaverile del mattino. Un buio pieno di risorse. Carico, ancora, dei residui della notte (pag. 32). Questo, come esemplificazione descrittiva di un interno. Ne dispongo un secondo, per un esterno (a pag. 34 ): Relèna sguardò volutamente fuori. La valle, verde e coltivata, sementata, e, a tratti, arboriforme, si estendeva per decine di chilometri senza limpiccio di un colle o di una montagna ruvida e sassosa. Nuvole dense di nero industriale (bellissime) comparivano allimprovviso precipitando come aquile sullacqua pigra dei riflussi.... E anche per le figure in carne e ossa, per i personaggi, dentro la trama narrativa, si può ben dire che ognuno è lì fissato come una farfalla spillata sotto il vetro. Dunque non è unopera facile, questa che abbiamo sotto gli occhi; né è unopera che conceda o sopporti solo una gradevolezza (sia pure aspra) di lettura; perché sempre richiama a una concentrazione senza divagazioni. Per esempio, ogni frase, dei quattro cinque o sei proclami del Pontefice Rosso, necessita di un indugio, di una sottolineatura; una fermata per confrontarsi, per richiamare le idee, per verificarle. Tolgo una esemplificazione allinterno di un giro molto denso di scrittura: lanima è nei sensi, dato non come un lemma rigoroso ma come unapertura determinante, da complicata riflessione generale in atto. A pagina 63: Il problema dei giovani, del lavoro, della sovrappopolazione, si risolve non con il controllo delle nascite ma con laccelerazione della morte. E a pagina 68: La sola spiegazione è che Cristo fosse un uomo del futuro. Un viaggiatore del tempo. Le sottolineature potrebbero accumularsi, ma credo di avere indicato, dal mio punto di vista, un percorso per camminare nelle pagine. Tanto più che, poi, non si può non completare questa mappa, senza almeno la presentazione dei vari personaggi impegnati in diretta; che a me sembrano, con qualche fascino letterario, piuttosto ombre corpose - e talvolta paurose - che individui o donne reali; più da vedere che da toccare. Di sangue, per diretta violenza, ne scorre a fiotti qua dentro, ma sembra, nonostante tutto, che si asciughi in fretta; che tenda a scomparire con poca traccia; mentre restano in evidenza le minime azioni visive dei personaggi; il loro cupo rincorrere la morte; o la violenza della morte, che sovraintende alla vita. Verso la conclusione, il racconto o il resoconto di questa forsennata carneficina tende a frantumarsi in una ambiguità simile a lucida nebbia. La finalità delle azioni, i volti, le mani delle persone tendono a dileguarsi, a defilarsi; a non più collocarsi al centro. E la fine del libro potrebbe - forse potrebbe, dico - ricollegarsi al principio per avviare unaltra storia ancora. Dentro a un paesaggio che sembra prolungato nel tempo; più da Tremila che da Duemila vicino; perciò incombe come una totalità già culturalmente introiettata e accettata. Quel grigio bianco, senza quasi colori, che avvicina la giornata attiva più allallucinazione normalizzata che allesasperazione ancora conflittuale e non ancora rassegnata. Il racconto ha la sua efficacia anche nel richiamarci a queste urgenti verifiche della ragione.
Compagni e compagne,
campagne,
niente come la miseria, più della miseria, mi dà orrore. Perché quando penso alla miseria, vedo la miseria, io noto (cioè lo sguardo mi cade su) un cumulo di bambini, tutti magri, tutti in fila, con le mosche agli occhi (poveri bambini) che fingono di piangere (per via del liquido che non scende) e guardano le madri. Madri con seni raggrinziti (che mi vergognerei di mostrare al dottore) i quali cercano di spremere torcendoli come stracci.
La miseria è disagevole, compagni, ammettiamolo senza rimorsi. E se non fosse necessaria io stesso pregherei di debellarla...
(Inutile aggiungere che nellattacco contro la miseria al Pontefice scendevano lacrime dimpotenza. Sfilate di poveri in moviola cadevano stecchiti davanti allobiettivo - infastidendo le mosche e costringendo loperatore ad acrobazie focali. I fotogrammi erano in bianco e nero. La loro sequenza passava dal grigiore dellambiente al bianco delle ossa, al nero delle bocche spalancate e concave. I più piccoli sincuriosivano di tutto. Le madri ruminavano fieno di stagione e lo sputavano in quelle gole come poltiglia filante. Dopo il pianto, lunghi sospiri di pancia).
Non accontentatevi delle spiegazioni, fratelli. Un erudito, un critico di fama, possono convincervi che avete ragione anche quando ce lavete. Siate sempre disonesti con voi stessi (siate voi stessi). E pensate soprattutto che non essendovi nulla dimmortale la prima delle tentazioni spregievoli è la gloria.
Neppure luniverso avrà modo di vantarsi a lungo della sua durata. E voi con lui (che credete di comprenderlo in parte, in piccolissima parte) pensate di racchiuderne un segreto. E non sia così.
<=
CAPITOLO UNDICESIMO
Lo Zeitung der Zeitverschwendung pubblicò unedizione straordinaria (notturna) sulla vita di alcuni possibili sobillatori.
Gente senza patria (apolidi). Uomini e donne che avevano vissuto (o vivevano) relazioni di promiscuità. Che mancavano di sentimenti profondi (duraturi) o di uno specifico ideale, se non il crimine (e non un crimine a sé stante). Gente che a detta degli esperti (agenti di borsa, psicologi, commercianti, artigiani) aveva commesso atti di libidine contro ogni essere vivente (fino alla murena da scoglio), esecrato gli articoli del codice penale e civile (comprese le procedure), deriso il jusnaturalismo e il razionalismo kantiano.
Animali, diceva lo Lo Zeitung der Zeitverschwendung più che gente. Più che uomini e donne. O altro.
La matrice comune dei sobillatori partiva da un dato attendibile e sperimentato: il reddito della famiglia dorigine. Se ne traeva la conclusione (statistica) che i sobillatori possono essere o molto poveri o molto ricchi (aut Caesar aut nullus). La classe intermedia (la borghesia) non era compresa in quelle statistiche (a dimostrazione che la verità sta nel mezzo).
<=
CAPITOLO DODICESIMO
Allalba del terzo giorno le Journal du huitième jour sintromise con un articolo di testa sullutilità dellesercito nelle situazioni demergenza (il già contestato De militum natura).
Fu in quelloccasione che i decani delle più remote Università della terra svelarono ai congressisti il risultato di una ricerca top-secret, detta anche del patriota ottimista (indagine facilitata dalla quasi totale mancanza di patrioti e dalla scomparsa definitiva di ottimisti).
Cera, come si vede, uno stridio terminologico di fondo che, analizzato, non dava chiavi di lettura ma nuove certezze impensabili.
Fu in quelloccasione che ci si persuase che un esercito può funzionare anche in uno stato democratico (perché in nessun esercito funziona la democrazia) e che lutilità dellesercito è valida sempre, pure col fato avverso (meglio però se dalla stessa parte).
<=
NON CAPITOLO SESTO
Proclama del Pontefice Rosso di Climax alla nazione
(Il Proclama apparirà allimprovviso dovè stabilito che appaia. Nel tempo più consono alla sua apparizione. Gli astrologi credono che nelle lettere sia contenuto un virus, i tecnocrati credono che nellinchiostro sia contenuto un virus, i cartografi credono che nei fogli sua contenuto un virus, che scatenerà le parole senza distinzione di luogo.)
<=
POSTFAZIONE
Allalba inoltrata del terzo giorno, sulle quattro del pomeriggio, mentre il treno filava a velocità insostenibile verso la Capitale, il pastore protestante fu svegliato dal fischio di un rapace, era la dodicesima volta che provava un bisogno impellente di orinare.
Fu mentre si lavava che notò la fiala.
Era una bella fiala, contenuta in un bossolo dargento massiccio, con tanti numeri sul fianco e fregi dautore lungo uno scavo mediano (opera, forse, dello stesso Cellini). Una fiala come non ne aveva mai viste, con un liquido, dentro, di natura oleosa. Sigillata da un tappo a pressione, un nastro di velluto rosso, e cera lacca con sopra una sigla per tutta la circonferenza.
Il pastore protestante pensò dovesse trattarsi di un profumo da collezione. Difatti, molta gente colleziona profumi. E aveva perfino conosciuto uno, uno stravagante, che collezionava libri. Ne aveva una quantità smisurata: dallo studio alle scale, dai bagni al garage. E non si stancava mai di comprarne. E più ne comprava più ne avrebbe comprati, perché lo spirito del collezionista, a un certo punto, diventa simile a un vizio. E certi vizi li si brucia, altri li si accantona, altri ancora li si accumula. Ma, soprattutto, ogni vizio è peccato, e come tale va represso.
Così, il pastore protestante intascò la fiala e tornò a dormire fino alla Capitale.
<=